Mercato centrale

Siamo arrivati al Mercato centrale, il cuore pulsante della città. Frequentato nel corso degli anni da numerose generazioni di livornesi, ognuno nelle sue ampie sale può trovare il ricordo di qualche persona cara, perduta per incuria o sfortuna, o per legge naturale. Varcare la soglia di uno dei grandi portoni ha per molti il senso di un rientro in famiglia. Attilio è appena uscito, dopo aver comprato un paio di salsicce dal suo norcino di fiducia, e un barattolo di fagioli rigorosamente garantito senza conservanti. Adesso pedala con forza verso via Garibaldi, pregustando il suo piatto preferito: fagioli in umido con salciccia, ripassati in padella con salsa rustica di pomodoro, e un rametto di rosmarino annegato nel sugo a dare un tocco di speziato. Naturalmente, non ha dimenticato di procurarsi una boccia di vino rosso. Quando poserà il fiasco sulla tavola, come sempre dirà sottovoce: è arrivata la luce. Saremmo tentati di chiedere in giro notizie su Emilio, per cercar di scoprire se ha ceduto alla tentazione di fuggire ad Amburgo, o se invece ha lasciato la sua Inga da sola, a traversare in tristezza il freddo mare. Ma forse nessuno conosce Emilio di nome, anche se probabilmente la sua faccia è familiare alla gran parte degli commercianti, e andare per descrizione fisica non servirebbe a molto. Lasciamo cadere la curiosità, forse un giorno troveremo soddisfazione.

Gino attraversa il corridoio che porta al salone dove si vende principalmente frutta e verdura, disposta con cura sugli antichi banconi di marmo. Quella sala viene chiamata ‘la piccola Parigi’. Non è difficile capirne il motivo. Gino vive da solo, quindi non ha bisogno di fare grandi spese. Abita a due passi dal Mercato, e trova piacevole immergersi nella sua calda atmosfera ogni mattina, fare colazione al bar dove lo accolgono con splendidi sorrisi, scambiare qualche battuta, leggere il giornale seduto ad uno dei tavolini presso le grandi colonne, il cappuccino fumante in mano, incurante degli occhi piantati sulle spalle di chi aspetta che abbia terminato. Il giornale passa rapidamente di mano in mano, anche se a ben vedere le notizie sono sempre le stesse. I mugugni pure. Forse è solo il gusto del rito quotidiano, a determinare la malcelata impaziente attesa del proprio turno di lettura. Da pochi anni in pensione, Gino è stato per tutta la vita marinaio su rotte mercantili. Ma non ha rispettato il vecchio adagio: una donna in ogni porto, perché i suoi gusti sessuali si sono per tempo rivelati, come dire, controcorrente. Di questa scoperta si è intimamente vergognato. Cresciuto in una famiglia popolana dai modi rudi e sbrigativi, non avvezza alle sottigliezze, ha da sempre e per primo considerato innaturale questa sua tendenza. In perenne conflitto con se stesso, è arrivato alla soglia della terza età ancora vergine. Nella sua mente semplice e quieta, cadenzata dal ritmo lento delle onde, non riusciva mai a prendere forma un modo di porsi, o di proporsi. Il rischio gli sembrava troppo grande. L’immagine di un rifiuto scandalizzato lo uccideva prima ancora che un solo colpo venisse esploso. Stranamente, guardando l’orizzonte sconfinato, perso in un mare di solitudine, si trovava spesso ad invidiare le donne, considerando che per loro doveva risultare più semplice affrontare una situazione simile alla sua. Ma non sapeva spiegarsene il motivo. Forse la figura femminile gli appariva più dolce, meno drastici i gesti, meno dure le carezze. L’immagine di due bicipiti in violento scontro nell’arena sessuale immancabilmente lo faceva trasalire. L’idea di avvicinare le labbra a un paio di baffi impregnati di salmastro gli procurava un moto d’ansia. La contraddizione tra le pulsioni che provava e l’angoscia con cui le viveva, lo portavano a giorni interi di silenzio. Doloroso. Ma a queste cose ha smesso di pensare, da tempo. Una volta rifiutata in modo definitivo la possibilità di assecondare in prima persona la propria natura, con i desideri ad essa collegati, qualcosa dentro di lui si è felicemente ricomposto, portandogli una qualche forma di serenità e di pace interiore. Adesso non ha più niente contro cui combattere, nessun rischio da correre. Soppesando con aria assente un cavolfiore, rischiarato e riscaldato dal sole che potente ma dolce attraversa le grandi vetrate, Gino assapora una riconquistata libertà, anche se dentro di sé qualcosa ha dovuto uccidere, per guadagnarla. L’anziana signora al suo fianco, impegnata nella scelta dei pomodori più lustri e maturi, neanche immagina – e come potrebbe – il lento e sereno dipanarsi dei pensieri di Gino, un uomo che ha combattuto e vinto a caro prezzo la battaglia più dura. Poco distante, al bancone del salumiere due giovani donne si contendono aspramente il diritto di essere la prima della lunga fila in paziente attesa. L’addetto alla vigilanza osserva accigliato due zingare, bambini al braccio, che attraversano la sala con sospetta sollecitudine. Un pensionato al minimo acquista l’ennesimo gratta e vinci, sconfitto dalla speranza di un improbabile colpo di fortuna. La lunga mattina volge al termine, quasi tutti i caffè sono stati bevuti, le vettovaglie per il pranzo e la cena riposano nelle borse capaci, un paio di esercenti, approfittando di una breve pausa, fumano una sigaretta sui gradini dell’ingresso principale, una moneta senza nome scivola nel cappello del mendicante seduto poco lontano. Un piccolo cane di razza bastarda, legato al cancello, aspetta il ritorno del padrone, gli occhi fissi sul punto dove lo ha visto sparire. Emilio ancora non si è visto. La sua distanza dal Mercato centrale di Livorno, immaginaria o reale, come il profondo turbamento e segreto di ogni vita a questo mondo, ancora non ci è dato di sapere.

Il luogo

Visualizza Cronache immaginarie in una mappa di dimensioni maggiori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *